Siamo fiori, non schiavi!


domenica 13 febbraio 2011

Tutti al mare da precari

Driiin driiin. Squilla il telefono. Dall'alta parte della cornetta una voce giovane mi chiede se sto lavorando e mi propone un lavoro simpatico: accompagnare un gruppo di bambini alle colonie estive organizzate dal comune. Conversano-Capitolo per due settimane, week-end esclusi. La partenza è prevista alle 8,15, il ritorno alle 13,30. Quel che mi ha colpito di questa offerta è il compenso: 20 euro nette a giornata. Dopo un calcolo veloce, mi accorgo che mi stavano proponendo un salario orario di 3 euro e 80 centesimi. In seguito non sono stato scelto perché una ragazza, così mi spiegano, ha più esperienza di me.

Chiamo la persona che mi ha proposto il lavoretto e gli chiedo di poter scrivere della vicenda su questa rubrica. E così mi reco da lui con una cara amica in un'agenzia nuova e luccicante e mi trovo di fronte un ragazzo appena ventenne seduto a una scrivania con accanto una ragazza di qualche anno più grande, che per tutto il tempo dell'intervista ascolta attentamente senza proferir parola. Fatte le presentazioni espongo i miei dubbi.

Il responsabile dell'agenzia, che somiglia più a un centro di lavoro interinale, risponde: “faccio il sindacalista da tre anni. Sono il primo che difende i lavoratori e sto sempre dalla loro parte. Non sto parlando di figure professionali specializzate, quindi non è previsto per legge l'obbligo di inquadramento nei contratti collettivi nazionali del lavoro, ma si chiede solo la figura di accampagnatore rivolta alle fasce giovanili d'età. Anche per questo, non per discriminare i giovani ma lo ritengo un valore aggiuntivo, per tutti i ragazzi e ragazze coinvolti in queste esperienze il salario è l'ultimo obiettivo che si sono posti e credo che sia la cosa più bella. Ma non perché sono l'organizzatore e quindi ci vado a risparmiare, anzi perché loro si sono posti come obiettivo primario quello di far divertire i bambini ed è quello che le colonie stanno dimostrando. A parte che questo sarà stato uno dei pochi casi in cui ogni accompagnatore ha ricevuto una copertura assicurativa. E non stiamo andando a dare un appalto grande. Guai se un giovane, anche per chi si trova alle prime esperienze, si ponesse come unico problema la questione del salario. Perché un giovane deve sapersi accontentare. Se i giovani ricevono questa cifra non è che io me ne intasco il triplo”.

Primo problema: premesso che un salario più alto spinge e motiva il lavoratore a impegnarsi di più, è giusto affidare dei bambini a ragazze e ragazzi che guadagnano una miseria? Secondo il responsabile del servizio sì, secondo il quale, vista la sua lunga esperienza nel settore, i bambini sono pienamente rispettati anche con queste condizioni lavorative.

Secondo: se dobbiamo dividere una torta, qual è una divisione equa?

E ancora: il soldo è la rappresentazione del valore, della preparazione e della dignità di una persona. E' bene prendere per la gola un giovane che, in un mare di disoccupazione fonte di dolore dell'anima, sente il bisogno di fare e sentirsi utile, a prescindere dal compenso monetario che ne ricava? E questa agenzia, che tanto lavoro sparge a larghe mani, non è forse portatrice inconsapevole del virus della precarizzazione del lavoro che sta rovinando l'Italia? E' meglio mezzo piatto di lenticchie o niente? Accontantarsi può essere una politica ancora accettabile? Non ci siamo già accontentati a sifficienza? E la crisi economico-sociale non è frutto di un accontentarsi generale a condizioni di lavoro e vita sempre più precarie?

Nell'ultima opera di Jonathan Safran Foer, l'aurore racconta di sua nonna ebrea che durante la Seconda Guerra Mondiale, in fuga dai nazisti e senza cibo da giorni, sceglie di non mangiare carne non macellata secondo la tradizione ebraica, spiegando che “se niente importa, non c'è nulla da salvare”. L'etica, appunto.

Service per eventi e concerti: lo spettacolo indegno


Eureka, un lavoro!

Il 12 luglio ero tranquillamente a pranzo con i miei. Venne un mio amico e mi chese se volevo lavorare in un'impresa di service per spettacoli e concerti. Tempo prima gli avevo detto che cercavo lavoro. Il pomeriggio del giorno dopo parlai con il responsabile. Concordammo 50 euro al giorno per andare in tour con il Mudù per tutta la Puglia, 50 serate in tutto. Quando non c'era il tour avrei dovuto dare una mano in magazzino per 30 euro. Avevo diverse spese, accettai.”

Da perderci il sonno

Il mio lavoro consisteva nell'aiutare l'autista a caricare e scaricare il camion e poi mi dovevo mettere vicino ai tecnici e imparare un pò il mestiere. Ma, se anche la mattina eravamo stati in magazzino e il pomeriggio nel paese dove c'era la serata, e lì avevamo montato audio e luci e a notte fonda rimesso tutto sul camion per tornare in magazzino, dava sempre 30 euro. A mia insaputa. Quasi tutte le sere tornavo a casa in un'orario che oscillava tra le 3 e le 5 del mattino.
E la mattina successiva alle 9 o, come si è verificato più di una volta alle 8.00, andavamo in magazzino a lavorare. Il mese di agosto ho dormito quelle 4-5 ore a notte. E si lavorava anche la domenica.”

Il titolare dal braccio corto
“Problemi li ho avuti anche quando doveva pagare, nel senso che passavano anche più di cinque giorni dal giorno in cui gli chiedevo i soldi fino a quando me li dava.
Inoltre mi stava fregando. Me ne accorsi perchè una volta ero convinto di dover prendere una determinata cifra e ne trovai una diversa. A casa feci i conti e scoprii che non era stato di parola e che,
con tutte quelle ore di lavoro, mi stava dando solo 30 € al giorno, anche se la sera eravamo stati fuori. Lo raccontai ai miei e loro giustamente mi dissero di trovarmi un altro lavoro perchè così mi stavo solo rovinando la salute.”

Persecuzione e controllo

Un pomeriggio di domenica non mi sentii tanto bene e chiamai il titolare per dirgli che non potevo andare a lavorare. Così, lui e gli altri colleghi iniziarono a chiamarmi prima al telefonino e, visto che non rispondevo, presero a chiamare al telefono di casa. I miei genitori rispondevano e loro si spacciavano per amici miei. Volevano controllare se stavo a casa o se ero in giro a divertirmi.
Poi la sera intorno a mezzanotte mi mandarono un messaggio dicendo che, se non rispondevo al cellulare, avrebbero chiamato a casa svegliando tutti. Il giorno dopo feci leggere il messaggio ai miei genitori e loro mi proibirono di continuare a lavorare con queste persone.”

L'amaro in bocca


“Nonostante tutto ritornai a lavorare lì perchè avevo bisogno di soldi. Scoprii inoltre che, invece di prendere 30 euro, ne stavo prendendo 26,40. Nuovamente lo dissi in famiglia e questo fu causa di altri litigi. Alla fine non ce l'ho fatta più e l'ho mandato male perchè mi ha dato 26 euro a giornata anche per un'intera settimana di lavoro passata fuori casa. E da quel giorno mi ritrovo nuovamente senza lavoro, con un mare di spese e non mi va di campare sulle spalle dei miei!”.

Le anime perse dei migranti di Patrasso

A poca distanza dal porto, in cima a una piccola collina, il castello di Patrasso domina il mare. E alle sue spalle la città continua monotona, con le palazzine chiare di due o tre piani e le case abbandonate che sono diventate un tetto per i migranti di Patrasso. Qualcuno dice siano cinquemila. Inesistenti per la legge degli uomini e a quanto pare anche per quella di dio.

Dietro l'angolo, ad appena una notte di viaggio da Bari, Patrasso è un punto nevralgico per chi vuole tentare di attraversare illegalmente il Mediterraneo. Le frontiere greche sono un colabrodo e sono anche le ultime rimaste a dare speranza a chi fugge da guerra e povertà.

“C'est une catastrophe”, mi dice in francese un ragazzo berbero incontrato alla stazione. Un suo amico mi racconta che lui in Italia ci ha vissuto ma, espulso, ora tenta di rientrarci. Addossati alla rete metallica e al filo spinato che costeggiano il porto e accompagnano la città nel suo dispiegarsi sulla costa, ogni giorno vedi le stesse facce stanche. Nord Africa, Africa nera, una moltitudine di afgani. Trascorrono le loro giornate aspettando l'occasione buona per saltare la rete, correre verso un camion sperando di non essere visti, infilarcisi sotto a rischio della vita per arrivare in Italia e...

É il sogno di tutti. I controlli a tappeto rendono l'impresa praticamente impossibile, a meno che non paghi i trafficanti. Eppur ci sperano o la speranza ha solo lasciato il posto all'abitudine. I militari scandagliano i camion con gli scanner e gli stessi autisti stanno attenti a non avere ospiti indesiderati per via delle multe salate. Alla fine vengono stanati e picchiati dagli uni e dagli altri. Troppo uguali a se stessi quei giorni e quei mesi passati ad aspettare.

Un ragazzo afgano, avrà avuto quindici anni, aspetta un treno su una panchina. Scolpita sul suo volto la maturità precoce e la fatica di essere solo, solamente un bambino. Va a raccogliere patate, dice nel suo inglese stentato, dieci ore al giorno gli frutteranno una ventina di euro.

C'era una volta a Patrasso un campo di baracche dove vivevano un migliaio di suoi connazionali. Un ragazzo che ci è passato mi ha detto: “entrato nella tenda per la notte, stavo attento a non toccare nulla, mi faceva tutto così schifo!” Ci avevano costruito anche una moschea, ma è stato demolito nel 2009. Prima che le sue casette di lamiere e cartoni fossero abbattute, alcune associazioni e centri sociali avevano iniziato a donare cibo e indumenti. Ma ora è tutto più difficile. I migranti sparsi per la città non si fidano, gli attivisti locali pensano alla situazione politica, ai tagli e alle proteste del sessantotto balcanico. L'indifferenza della gente che passeggia per le vie del centro e il limbo dei migranti che a due passi da lì guardano le navi salpare, sono due mondi lontanissimi.

Le politiche greche per l'integrazione sono inesistenti, la chiesa non sembra preoccuparsene e la società civile latita. Lo sfruttamento è quotidiano, i documenti una chimera. Le leggi comunitarie sono chiare: chiedere l'asilo politico in un paese dell'unione significa doverci restare. Ma per tutti la Grecia è solo una tappa di passaggio.

A chi conviene tenere tante vite appese a un filo? Soprattutto in periodo di crisi, dietro i toni roboanti dei nostri governanti, chissà quanti sotto sotto se la ridono di questa abbondanza di manodopera a basso costo e senza diritti, che spinge al ribasso i salari di tutti. Ancora una volta le politiche repressive si stanno rivelando efficaci.