Siamo fiori, non schiavi!


domenica 13 febbraio 2011

Tutti al mare da precari

Driiin driiin. Squilla il telefono. Dall'alta parte della cornetta una voce giovane mi chiede se sto lavorando e mi propone un lavoro simpatico: accompagnare un gruppo di bambini alle colonie estive organizzate dal comune. Conversano-Capitolo per due settimane, week-end esclusi. La partenza è prevista alle 8,15, il ritorno alle 13,30. Quel che mi ha colpito di questa offerta è il compenso: 20 euro nette a giornata. Dopo un calcolo veloce, mi accorgo che mi stavano proponendo un salario orario di 3 euro e 80 centesimi. In seguito non sono stato scelto perché una ragazza, così mi spiegano, ha più esperienza di me.

Chiamo la persona che mi ha proposto il lavoretto e gli chiedo di poter scrivere della vicenda su questa rubrica. E così mi reco da lui con una cara amica in un'agenzia nuova e luccicante e mi trovo di fronte un ragazzo appena ventenne seduto a una scrivania con accanto una ragazza di qualche anno più grande, che per tutto il tempo dell'intervista ascolta attentamente senza proferir parola. Fatte le presentazioni espongo i miei dubbi.

Il responsabile dell'agenzia, che somiglia più a un centro di lavoro interinale, risponde: “faccio il sindacalista da tre anni. Sono il primo che difende i lavoratori e sto sempre dalla loro parte. Non sto parlando di figure professionali specializzate, quindi non è previsto per legge l'obbligo di inquadramento nei contratti collettivi nazionali del lavoro, ma si chiede solo la figura di accampagnatore rivolta alle fasce giovanili d'età. Anche per questo, non per discriminare i giovani ma lo ritengo un valore aggiuntivo, per tutti i ragazzi e ragazze coinvolti in queste esperienze il salario è l'ultimo obiettivo che si sono posti e credo che sia la cosa più bella. Ma non perché sono l'organizzatore e quindi ci vado a risparmiare, anzi perché loro si sono posti come obiettivo primario quello di far divertire i bambini ed è quello che le colonie stanno dimostrando. A parte che questo sarà stato uno dei pochi casi in cui ogni accompagnatore ha ricevuto una copertura assicurativa. E non stiamo andando a dare un appalto grande. Guai se un giovane, anche per chi si trova alle prime esperienze, si ponesse come unico problema la questione del salario. Perché un giovane deve sapersi accontentare. Se i giovani ricevono questa cifra non è che io me ne intasco il triplo”.

Primo problema: premesso che un salario più alto spinge e motiva il lavoratore a impegnarsi di più, è giusto affidare dei bambini a ragazze e ragazzi che guadagnano una miseria? Secondo il responsabile del servizio sì, secondo il quale, vista la sua lunga esperienza nel settore, i bambini sono pienamente rispettati anche con queste condizioni lavorative.

Secondo: se dobbiamo dividere una torta, qual è una divisione equa?

E ancora: il soldo è la rappresentazione del valore, della preparazione e della dignità di una persona. E' bene prendere per la gola un giovane che, in un mare di disoccupazione fonte di dolore dell'anima, sente il bisogno di fare e sentirsi utile, a prescindere dal compenso monetario che ne ricava? E questa agenzia, che tanto lavoro sparge a larghe mani, non è forse portatrice inconsapevole del virus della precarizzazione del lavoro che sta rovinando l'Italia? E' meglio mezzo piatto di lenticchie o niente? Accontantarsi può essere una politica ancora accettabile? Non ci siamo già accontentati a sifficienza? E la crisi economico-sociale non è frutto di un accontentarsi generale a condizioni di lavoro e vita sempre più precarie?

Nell'ultima opera di Jonathan Safran Foer, l'aurore racconta di sua nonna ebrea che durante la Seconda Guerra Mondiale, in fuga dai nazisti e senza cibo da giorni, sceglie di non mangiare carne non macellata secondo la tradizione ebraica, spiegando che “se niente importa, non c'è nulla da salvare”. L'etica, appunto.

Service per eventi e concerti: lo spettacolo indegno


Eureka, un lavoro!

Il 12 luglio ero tranquillamente a pranzo con i miei. Venne un mio amico e mi chese se volevo lavorare in un'impresa di service per spettacoli e concerti. Tempo prima gli avevo detto che cercavo lavoro. Il pomeriggio del giorno dopo parlai con il responsabile. Concordammo 50 euro al giorno per andare in tour con il Mudù per tutta la Puglia, 50 serate in tutto. Quando non c'era il tour avrei dovuto dare una mano in magazzino per 30 euro. Avevo diverse spese, accettai.”

Da perderci il sonno

Il mio lavoro consisteva nell'aiutare l'autista a caricare e scaricare il camion e poi mi dovevo mettere vicino ai tecnici e imparare un pò il mestiere. Ma, se anche la mattina eravamo stati in magazzino e il pomeriggio nel paese dove c'era la serata, e lì avevamo montato audio e luci e a notte fonda rimesso tutto sul camion per tornare in magazzino, dava sempre 30 euro. A mia insaputa. Quasi tutte le sere tornavo a casa in un'orario che oscillava tra le 3 e le 5 del mattino.
E la mattina successiva alle 9 o, come si è verificato più di una volta alle 8.00, andavamo in magazzino a lavorare. Il mese di agosto ho dormito quelle 4-5 ore a notte. E si lavorava anche la domenica.”

Il titolare dal braccio corto
“Problemi li ho avuti anche quando doveva pagare, nel senso che passavano anche più di cinque giorni dal giorno in cui gli chiedevo i soldi fino a quando me li dava.
Inoltre mi stava fregando. Me ne accorsi perchè una volta ero convinto di dover prendere una determinata cifra e ne trovai una diversa. A casa feci i conti e scoprii che non era stato di parola e che,
con tutte quelle ore di lavoro, mi stava dando solo 30 € al giorno, anche se la sera eravamo stati fuori. Lo raccontai ai miei e loro giustamente mi dissero di trovarmi un altro lavoro perchè così mi stavo solo rovinando la salute.”

Persecuzione e controllo

Un pomeriggio di domenica non mi sentii tanto bene e chiamai il titolare per dirgli che non potevo andare a lavorare. Così, lui e gli altri colleghi iniziarono a chiamarmi prima al telefonino e, visto che non rispondevo, presero a chiamare al telefono di casa. I miei genitori rispondevano e loro si spacciavano per amici miei. Volevano controllare se stavo a casa o se ero in giro a divertirmi.
Poi la sera intorno a mezzanotte mi mandarono un messaggio dicendo che, se non rispondevo al cellulare, avrebbero chiamato a casa svegliando tutti. Il giorno dopo feci leggere il messaggio ai miei genitori e loro mi proibirono di continuare a lavorare con queste persone.”

L'amaro in bocca


“Nonostante tutto ritornai a lavorare lì perchè avevo bisogno di soldi. Scoprii inoltre che, invece di prendere 30 euro, ne stavo prendendo 26,40. Nuovamente lo dissi in famiglia e questo fu causa di altri litigi. Alla fine non ce l'ho fatta più e l'ho mandato male perchè mi ha dato 26 euro a giornata anche per un'intera settimana di lavoro passata fuori casa. E da quel giorno mi ritrovo nuovamente senza lavoro, con un mare di spese e non mi va di campare sulle spalle dei miei!”.

Le anime perse dei migranti di Patrasso

A poca distanza dal porto, in cima a una piccola collina, il castello di Patrasso domina il mare. E alle sue spalle la città continua monotona, con le palazzine chiare di due o tre piani e le case abbandonate che sono diventate un tetto per i migranti di Patrasso. Qualcuno dice siano cinquemila. Inesistenti per la legge degli uomini e a quanto pare anche per quella di dio.

Dietro l'angolo, ad appena una notte di viaggio da Bari, Patrasso è un punto nevralgico per chi vuole tentare di attraversare illegalmente il Mediterraneo. Le frontiere greche sono un colabrodo e sono anche le ultime rimaste a dare speranza a chi fugge da guerra e povertà.

“C'est une catastrophe”, mi dice in francese un ragazzo berbero incontrato alla stazione. Un suo amico mi racconta che lui in Italia ci ha vissuto ma, espulso, ora tenta di rientrarci. Addossati alla rete metallica e al filo spinato che costeggiano il porto e accompagnano la città nel suo dispiegarsi sulla costa, ogni giorno vedi le stesse facce stanche. Nord Africa, Africa nera, una moltitudine di afgani. Trascorrono le loro giornate aspettando l'occasione buona per saltare la rete, correre verso un camion sperando di non essere visti, infilarcisi sotto a rischio della vita per arrivare in Italia e...

É il sogno di tutti. I controlli a tappeto rendono l'impresa praticamente impossibile, a meno che non paghi i trafficanti. Eppur ci sperano o la speranza ha solo lasciato il posto all'abitudine. I militari scandagliano i camion con gli scanner e gli stessi autisti stanno attenti a non avere ospiti indesiderati per via delle multe salate. Alla fine vengono stanati e picchiati dagli uni e dagli altri. Troppo uguali a se stessi quei giorni e quei mesi passati ad aspettare.

Un ragazzo afgano, avrà avuto quindici anni, aspetta un treno su una panchina. Scolpita sul suo volto la maturità precoce e la fatica di essere solo, solamente un bambino. Va a raccogliere patate, dice nel suo inglese stentato, dieci ore al giorno gli frutteranno una ventina di euro.

C'era una volta a Patrasso un campo di baracche dove vivevano un migliaio di suoi connazionali. Un ragazzo che ci è passato mi ha detto: “entrato nella tenda per la notte, stavo attento a non toccare nulla, mi faceva tutto così schifo!” Ci avevano costruito anche una moschea, ma è stato demolito nel 2009. Prima che le sue casette di lamiere e cartoni fossero abbattute, alcune associazioni e centri sociali avevano iniziato a donare cibo e indumenti. Ma ora è tutto più difficile. I migranti sparsi per la città non si fidano, gli attivisti locali pensano alla situazione politica, ai tagli e alle proteste del sessantotto balcanico. L'indifferenza della gente che passeggia per le vie del centro e il limbo dei migranti che a due passi da lì guardano le navi salpare, sono due mondi lontanissimi.

Le politiche greche per l'integrazione sono inesistenti, la chiesa non sembra preoccuparsene e la società civile latita. Lo sfruttamento è quotidiano, i documenti una chimera. Le leggi comunitarie sono chiare: chiedere l'asilo politico in un paese dell'unione significa doverci restare. Ma per tutti la Grecia è solo una tappa di passaggio.

A chi conviene tenere tante vite appese a un filo? Soprattutto in periodo di crisi, dietro i toni roboanti dei nostri governanti, chissà quanti sotto sotto se la ridono di questa abbondanza di manodopera a basso costo e senza diritti, che spinge al ribasso i salari di tutti. Ancora una volta le politiche repressive si stanno rivelando efficaci.

venerdì 30 luglio 2010

Cenerentola era precaria: storia di Z., commessa a 200 euro in un negozio del centro di Manfredonia



21 ore settimanali a 200 euro al mese. I calcoli si fanno in fretta, più o meno 2 euro l'ora.

E' la storia di una Cenerentola moderna quella di Z., commessa part-time in nero in un negozio del centro di Manfredonia che vende abiti, intimo e costumi. Gli stessi costumi che paghi quanto il salario di Z., 200 euro, e che, a detta della protagonista di questa triste storia, nelle vie del centro di Siena costano 50 euro in meno.

“Ho iniziato a lavorare ad aprile 2009. La vecchia proprietaria ha venduto il negozio e mi ha indicata alle persone che lo hanno rilevato. Con la vecchia proprietaria avevo un buon rapporto. Ma con le nuove, oltre alla commessa dovevo anche fare le pulizie. E pretendevano tutto, subito e fatto in maniera accurata. Gli affari, tranne due-tre mesi invernali, sono andati bene. Il negozio era della figlia ma la mamma, insegnante, aveva messo il denaro e comandava. E mi trovavo in mezzo a due fuochi, con la figlia che stava tutto il tempo davanti a Facebook e non faceva nulla fino a quando la sera non veniva la mamma. E la mamma che la sera arrivava e pretendeva che facessimo tutto il lavoro che non avevamo fatto fino a quel momento. Così puntualmente chiudevamo più tardi del previsto”.

“Se mi assentavo mezza giornata non dovevo recuperarla. Ma se mancavo di più, mi facevano recuperare le ore perse. Visto che ho un altro lavoro, cercavo di organizzarmi. E la proprietaria una volta mi ha detto: «come ti permetti di dire quando devi recuperare i giorni! Dove si è visto mai che la dipendente deve comandare la titolare?»”

Una gestione improvvisata, l'ansia di veder rientrare in fretta l'investimento per l'acquisto del negozio, un rapporto madre-figlia di dipendenza e complicità amorale paiono aver trasformato due donne di idee progressiste in datori di lavoro senza scrupoli. O, come dice Z., in persone che “predicano bene e razzolano male”.

“Ci ho lavorato per un anno. Fino ad allora non avevo preso ferie perché non volevano darmele. A maggio 2010, quando le ho chieste, la risposta è stata: «visto che sei in nero, non so se hai diritto alle ferie». Che nervi: al centro commerciale le commesse, anche quelle part-time, hanno diritto a quasi un mese di ferie retribuite all'anno. Le ho dovute quasi estorcere, e alla fine hanno ceduto perché si avvicinava la stagione e avevano paura che le avrei lasciate proprio nel momento in cui si lavora di più. Ho preso una settimana. Sono tornata un gionro dopo del previsto, il lunedì invece della domenica, avvisandole con un sms. Il martedì mattina arrivo in negozio. La figlia, con la scusa di un fax, esce. Arriva la mamma... si era presa un permesso da scuola solo per farmi il cazziatone. Per 200 euro al mese.”

Che fine ha fatto la coscienza di classe!?




Conversano, giugno 2010


Il precariato? Un miraggio

Mi dice Raffaella, fresca laureata triennale e hostess a giornata in una sala da ricevimento: “sai, ci sto pensando proprio in questi giorni. Magari fossi precaria! Non penso lo sarò mai. Non vedo proprio come possa uscire da questa condizione di lavoro nero saltuario”. Visto da quaggiù anche il precariato, coi suoi contratti estremamente flessibili e brevi, ha il sapore di un miraggio.

C'era una volta la coscienza di classe
Cantavano Paolo Pietrangeli e Giovanna Marini: “anche l'operaio vuole il figlio dottore. E pensi che ambiente che può venir fuori: non c'è più morale, contessa!”
La coscienza di classe è a brandelli, in particolare tra i precari.
Giorni fa, a tarda notte, in un bar del centro dove avevo appena fatto colazione, scambio due chiacchiere col giovane cameriere. Gli faccio qualche domanda. Mi dice che ha appena iniziato a lavorare lì, che non sa ancora quanto gli daranno e che il turno che inizia il pomeriggio, termina all'alba. Cerco di capire cosa pensi delle sue condizioni di lavoro. Mi risponde seccato, dicendo che sul lavoro si fa rispettare e che non si preoccupa di questi problemi.
Altro episodio: parlo con un architetto trentenne iscritto all'albo, persona colta e intellettualmente vivace che da 2-3 mesi ha iniziato a collaborare con uno studio della nostra città. Mi dice che fino a quel momento gli hanno dato solo 250 euro. Prendo la palla al balzo e gli chiedo di raccontarmi la sua 'vita precaria'. Niente da fare. Mi risponde: “tra due giorni il titolare mi dovrà dare dei soldi e spero che allora le cose andranno bene”.
Ma in fondo di che ci stupiamo? Se anche il sindacato, che dovrebbe tutelare i diritti dei lavoratori, non paga alcuni suoi collaboratori (avviene a Conversano), non c'è da stupirsi che si sia smarrita la solidarietà. Non c'è più morale, è vero, e se la coscienza della propria condizione è il primo passo verso il riscatto, allora siamo proprio fregati. Eppure, quanti ce la faranno? E gli altri?

L'accesso al credito come diritto universale
Per evitare che questa rubrica diventi una lamentela sterile e un po' isterica, iniziamo ad avanzare proposte. Non speriamo di trasformare la situazione in un batter di ciglia, ma siamo convinti che la conoscenza, o meglio la 'coscienza', siano un motore essenziale del cambiamento. Riproponiamo in questo caso un'idea del Premio Nobel per la Pace Mohammad Yunus, geniale attuatore su vasta scala del microcredito. Afferma nella sua celebre opera “Il banchiere dei poveri” (Feltrinelli), che l'accesso al credito dovrebbe essere inserito tra i diritti universali dell'uomo. In un mondo dove la disoccupazione è la norma, una via d'uscita da povertà e precariato sono l'autoimpiego e la microimprenditorialità. Per avviare attività economiche, è necessario possedere un capitale di partenza, che nessuno (o quasi) è disposto a concederti, se non in cambio di solide garanzie (il solito paradosso: se avessi le garanzie, che bisogno avrei di chiedere un prestito?). Yunus e la sua Grameen Bank hanno ribaltato questa concezione, concedendo prestiti proprio a chi non possedeva nulla. Negli ultimi anni alcune iniziative pubbliche sono andate in questa direzione. Il programma regionale Principi Attivi, ad esempio, punta sulla capacità dei più giovani di costruirsi il proprio futuro partendo da un capitale a fondo perduto. Discorso simile per i finanziamenti di Sviluppo Italia. Ma sono ancora solo una goccia nel mare.

La Cina è vicina


Manfredonia, luglio 2008

Questa è una storiaccia.

Sono Carmine, ho 28 anni e, durante gli anni di università, ho lavorato per quattro stagioni, da aprile a ottobre, in un'agenzia che distribuisce quotidiani e riviste. Io ero addetto alle riviste tecniche e pornografiche. Gran parte del lavoro consisteva nella distribuzione di occhiali, materassini da mare e videocassette.
Il lavoro mio consisteva praticamente... secondo loro dovevo arrivare lì alle 5, io invece arrivavo alle 5 e mezza, non ce la facevo. Dovevo imballare giornali fino all'una-e-mezza. Il mio lavoro finiva qui: per tutti gli altri, che restavano, si faceva pausa dalle 13,30 alle 14,30 e si riprendeva fino a quando non finivano tutti quanti i giornali, solitamente non prima delle 6 del pomeriggio. L'estate ovviamente il lavoro triplica perchè il Gargano è turistico, gli alberghi e i lidi prendono i giornali quindi si schiatta di lavoro e si finisce alle 8.
A me mi davano 8-900 euro al mese. Ma non è un lavoro come pensate voi. Lì ti distruggi.

Il nostro stipendio era solo leggermente diverso e secondo gli altri io non facevo un cazzo.
Praticamente funzionava in questo modo qui: lì c'erano tanti signori che erano andati a scuola, secondo me, non oltre la seconda-terza elementare. E allora che succedeva quando c'ero anch'io? Io litigavo non tanto con il datore di lavoro - chiamiamolo così - quanto con loro perchè non si rendevano conto che venivano messi veramente sotto e ce l'avevano con me perchè secondo loro io lavoravo 'solo' mezza giornata, ovvero 8 ore al giorno. Quindi io non ero ben visto e per questo si incazzavano con me.

Questi tizi qua facevano riposo solo il due di gennaio, che si lavora a metà, e a ferragosto, il 16, perchè chiaramente i giornali escono sempre. Mai un giorno di riposo. Io la domenica non ci andavo, ahivoglia loro a dire, non me ne fregava un cazzo. Forse sono debole fisicamente ma non riuscivo a ricaricarmi.

Lì ho conosciuto un sacco di persone. Uno lavora lì da quando aveva 14 anni, ora ne ha 40, cioè da sempre. Mi ricordo anche tanti episodi divertenti, le persone erano simpatiche, con tanti ancora mi fermo a parlare.

E' successo una volta che vengono dei senegalesi che, per imballare delle cose, avevano bisogno di carta straccia. Uno che lavora lì ha fatto per scherzare a uno dei senegalesi: "Oh, ma perchè non vieni a lavorare pure tu qua!" Sto tipo l'ha guardato e gli ha risposto: "Ehi, mica sono marocchino io!". Ci ha fatto schiattare dal ridere.

Noi eravamo addetti al settore tecnico. Eravamo 5 in totale.
Arrivavano i giornali la mattina con 2 tir. Scaricavano le pedane con le riviste, le dovevi sballare e accatastare su un bancone. Poi si fa il giro di tutto il bancone per ogni edicola, prendi 20 Espresso, 15 Repubblica..., vai nella macchina dove devi imballarli, li appoggi, schiacci un pedale ed esce una fascetta molto tossica che si attacca col calore. Poi li prendi, ci metti il nome dell'edicola sopra e li riaccatasti sulla stessa pedana da cui prima li hai scaricati.
Per le edicole minuscole si caricavano almeno 30-35 chilogrammi.
In tre per una macchina, due accatastano i giornali e poi te li passano per imballarli. Devi essere veloce perchè chiaramente prima ti sbrighi, meglio è. Sai, l'orario è molto relativo. Il lavoro col pedale, se sgarri ti fai molto male, ti imballi dentro.

Devi avere delle misure di sicurezza? Secondo me non devi avere niente in testa per stare là dentro.

L'estate lì dentro c'erano almeno 50 gradi per via dei macchinari e del tetto di lamiera. Io lavoravo con le mutande e a piedi scalzi.
In estate ho preso la polmonite uscendo fuori a fumare perchè dentro era caldissimo e quando uscivi dovevi metterti la felpa pure se c'erano 40 gradi.

Sul lavoro il padrone secondo me era un animale, non ci sono altri termini.
Non è un fatto normale: si metteva alle tue spalle e ti guardava lavorare borbottando, a volte per ore. Non si andava a fare neanche le cazzo di ferie, non se ne andava mai, stava sempre là.

Ingaggiati? Ma quale ingaggiati!
Se venivano i controlli te ne dovevi scappare in mezzo alla campagna. Comunque spesso si sapeva già quando venivano. Si diceva che una volta avesse avuto una denuncia; quando ci son stato io non è mai successo nulla.
La polizia si veniva a prendere i giornali, mettevamo anche da parte gli inserti.

La pausa panino, dalle 9 alle 9,15, era terrificante perchè sapevi che, se non ti sbrigavi, all'1 e mezza non te ne andavi. Un sacco di volte con una mano imballavo e con l'altra mangiavo.

Il prezzo della bellezza




Manfredonia, luglio 2008

"Mi chiamo Ambra, ho 23 anni e sto per iscrivermi al terzo anno della scuola per estetista. A inizi luglio avevo bisogno di soldi per andare in vacanza col mio ragazzo e un'amica mi aveva detto che in un salone appena aperto cercavano personale. Il colloquio è stato singolare: la proprietaria si è fatta fare pedi e manicure, e si è fatta anche mettere lo smalto rosso, che è difficile non lasciare ombre.

Ho ottenuto il lavoro. Il mese di luglio ho lavorato dalle 8,30 alle 12,30 e dalle 15,20 alle 21, il sabato orario continuato dalle 8.30 alle 18 con un panino mangiato in piedi. Dovremmo finire alle 19,30 ma le clienti arrivano in ritardo o si ricordano all'ultimo momento che vogliono anche le sopracciglia. E tu che fai? Mica puoi dirgli che è tardi, quelle poi escono e vanno nel salone a fianco, visto che Manfredonia ne è piena. Anche di mattina spesso finiamo all'1 o all'1 e mezza.
Ho sacrificato l'estate per niente. Vabbe', mi sono impratichita molto; prima, lavorando per conto mia a casa, me la prendevo più comoda. Da quando sto lì, con Sandra che mi diceva tutto il tempo "ti devi spicciare, muoviti!", e con tante cose da fare, che Sandra spettegolava e faceva fare tutto a me, sono diventata molto più svelta.

Sai che delusione quando mi ha dato la busta con i soldi? Era il giorno prima del mio compleanno e Sandra mi aveva regalato una borsetta. Vado in macchina, apro la busta e ci trovo 250 euro. Pensavo di essermi sbagliata, che qualche banconota fosse caduta. Quanto ci sono rimasta male! E poi erano tutte banconote da 50 e la busta sembrava piena! Le pensano proprio tutte...

Io poi gliel'ho detto che erano pochi, mi ha risposto che aveva appena aperto e non poteva darmi di più. Quasi si metteva a piangere. Intanto lì era sempre pieno di gente che lasciano un sacco di soldi.

Per agosto ci siamo messi d'accordo che, per metà giorni, mi darà gli stessi soldi. A fine mese glielo dico, invento una scusa, io lì non ci vado più. Tanto più che ricomincia la scuola, perchè dovrei compromettere gli studi per un lavoro così? E poi in quelle ore meglio andare in palestra...lavorando privatamente a casa guadagno di più."

Fuggire. Simile a quella di Ambra la storia di Carmela, fuggita a Pescara per disperazione. Aveva iniziato a fare l'apprendista parrucchiera anni fa, appena diciottenne. Prendeva dieci euro a settimana! Alla fine la proprietaria gliel'ha fatto un contratto. Part-time e non le dava neanche tutta la busta paga. Spesso funziona così.

“E, se non bastasse, era sempre nervosa e si sfogava con me. Un giorno non ce l'ho fatta più e le ho risposto davanti ai clienti. Ora a Pescara sono in regola e mi trovo benissimo con i miei nuovi datori di lavoro”.

Un'azienda di cornuti


Manfredonia, luglio 2008

Tra noi ci sfottiamo che siamo cornuti, che le nostre zite e mogli hanno tutte altre storie perché non ti resta neanche il tempo per una trombata.

Mi chiamo Romeo, ho 27 anni, sono iscritto all'università e da 2 mesi lavoro come ragioniere in un' industria alimentare di Manfredonia.


600 euro al mese per 10-12 ore al giorno

Prendo 600 euro in nero al mese. Teoricamente dovrei stare in ufficio, ma non faccio solo quello. Quando sono arrivato pensavo che, su 20 dipendenti, in nero fossimo giusto gli ultimi arrivati; invece la maggior parte sono nella nostra stessa situazione.

In 2 mesi ho visto andar via un botto di gente, infatti sono già un veterano. Si stancano perché le condizioni sono uno straccio. Pensa che un ragazzo con famiglia, che faceva il muratore, arrivato dicendo che aveva bisogno di lavorare ma quel che faceva era troppo duro, dopo una settimana è tornato a fare il muratore.

Entro alle 8 del mattino, a pranzo stacchiamo alle 2, poi rientriamo alle 4 e smontiamo non prima delle 8 e mezza. Credo che in due mesi solo un paio di volte siamo usciti prima di quell'ora. Il sabato si lavora 'mezza' giornata. Oramai il mese d'agosto è routine che si fanno le 10 di sera prima di finire. Insomma, 10-12 ore al giorno.


Prendo quanto un part-time

Due donne con figli fanno il part-time, che significa 7 ore al giorno, dalle 7 del mattino alle 2 del pomeriggio. Non penso proprio che prendano più di 500 euro al mese.

Sai quanto mi sento di fottere quando vedo amici che lavorano 4 ore al giorno, fanno part-time, pigliano quanto piglio io e semmai hanno anche il contratto?!


Padroni paranoici

E poi i padroni sono paranoici. Uno addirittura controlla i sacchi di immondizia per vedere se ci siamo imboscati delle cose da portarci a casa. Ed è fissato con la porta, non fai in tempo ad entrare che ti grida di chiuderla. “Si rovina la merce”, dice.

Sfruttato lui per tutta la vita, ora che può cerca di tenerti là dentro il più possibile. La settimana scorsa, una sera abbiamo finito un po’ prima. Questo che fa? Entra in ufficio, guarda l'orologio e cosa gli passa per la testa? Ci ha ordinato di preparare altre consegne fino alle 9 e mezza.

Un’altra volta abbiamo lavorato dalle 8 di mattina a mezzanotte e 10 senza tornare per niente a casa, mezz'ora di pausa pranzo e mezz'ora di pausa cena. A noi che stiamo davanti in ufficio magari ci va pure meglio, ma a chi sta dentro in laboratorio, 16 ore in piedi a lavorare!


E chi lavora lì da tempo?

Guadagna 900 euro al massimo. Le ore di straordinario non vengono assolutamente riconosciute. Hanno lavorato la vigilia di Natale e qual è stata la ricompensa? Un panettone. Bisognerebbe rifiutarsi di mangiarlo. La stessa cosa domenica scorsa: si è presentato con un vassoio di cornetti e ci ha offerto il caffè della macchinetta. Questo sarebbe il compenso per una giornata extra.

Mi ha promesso che a fine mese ci darà qualcosa in più...non ci credo, forse ci sono 50 euro in più nella busta, ma non vale niente comunque. Avevo chiesto un aumento, mi ha fatto tutto un discorso, che io sto lì da poco, dovrei essere un ragioniere vero e proprio e invece non sono ancora in grado di gestire in maniera autonoma un ufficio... Fatto sta che, autonomo o no, io sto là dentro 12 ore al giorno. Non parliamo di chi entra per fare l'autista e, quando torna da Vieste alle 9 e mezza di sera, che è partito alle 4 di pomeriggio, ha fatto gli scarichi ed è stanco, viene là e si deve mettere a pulire i macchinari e a scopare per terra.


Rassegnazione

Tutti si lamentano ma nessuno parla. Perchè quaggiù c'è questa mentalità, che sul lavoro ti devono sfruttare, pagare poco e far lavorare come un cane. È una realtà che viene quasi accettata.


Tutto si aggiusterà

Le polemiche ci sono, ma il capo è uno che sa parlare e sta sempre a dire: "non vi preoccupate, ci dobbiamo sistemare, di dobbiamo aggiustare". Si riferisce al fatto che si devono trasferire in una sede più grande, ma è l'organizzazione che dovrebbe cambiare. Ma questo i dipendenti non lo capiscono e i padroni continuano a prendere per il culo. Sono quattro anni che la gente si sente dire ste chiacchiere.


Le ferie!?!

Le ferie non esistono, per avere una settimana devi litigare. C'è uno che ha aspettato cinque anni per farsi qualche giorno di vacanza!

E' pure un po' colpa sua, perché le ferie le dovresti pretendere. E' solo che la gente c'ha famiglia, la moglie che sta male, un mutuo da pagare e giustamente sanno che, se lasciano, un altro lavoro non lo trovano. Come fai? Molte volte sei proprio costretto ad accettare certe condizioni.


Un solo iscritto al sindacato

Io c'ho 27 anni, se volevo lasciare l'università per un buon lavoro d'ufficio, magari potevo pure farci un pensiero. Lasciare l'università per stare là dentro…mai.

E stiamo parlando di un paesino del sud, dove la gente il lavoro lo va elemosinando, e quell'azienda ha problemi di personale. Tra i dipendenti si sta bene, si scherza e si ride ma non ci organizziamo mai. C'è solo uno in gamba, un ragazzo iscritto al sindacato. Lui si fa il suo orario lavorativo, ma dopo sei-sette anni di battaglia. Fatto sta che non viene trattato male o boicottato, non è soggetto a mobbing, però comunque gli altri ripetono: "quello se ne va e a noi ci lascia nella merda". Cacciate le palle e andatevene anche voi!


Piccole gioie della vita

Io, per farmi la barba o la doccia, devo aspettare la domenica.
Tutti si lamentano di sta cosa. Lo diceva scherzando ma un giorno un ragazzo si è affacciato all'ufficio e ha detto: "Non posso più stare qua dentro sennò lunedì mia moglie mi fa trovare la carta dell'avvocato e chiede il divorzio. Vuole uscire, si vuole fare un giro, ho un figlio che vedo solo dormire".

Mi sto prendendo qualche libertà. L'altro giorno sono andato a lavorare alle 10 e mezza. Sono stato costretto, dovevo comprare il regalo alla mia ragazza, era l'ultimo pezzo rimasto al negozio sotto casa. E' esattamente accanto al portone, ma quando esco deve ancora aprire, la sera quando torno ha già chiuso. Il regalo per la mia fidanzata che, se continuo a lavorare, io non so quanto durerà. Ma il bello sai qual è? Che sul ritardo nessuno ha aperto bocca perché sanno che, se cacciano il discorso dell'orario, hanno torto marcio.

giovedì 27 maggio 2010

Essere un promoter a Manfredonia

























Un altro articolo dallo Stato Quotidiano di Manfredonia. Storie di promoter nei supermercati a 25-30 euro a giornata.

http://www.statoquotidiano.it/26/05/2010/nel-girone-infernale-dei-promoter-dei-supermercati/28615/

Apricena: Scoase la produs

Scoase la produs è un'espressione rumena che significa "messe a lavorare". La si usa spesso parlando di prostitute costrette alla strada.

Questa è l'ennesima storia di sfruttamento tra gli insanguinati campi di pomodori del foggiano. La storia di ragazze rumene scoase la produs, ovvero attirate in Italia con la speranza di raccogliere il nostro oro rosso e finite su una strada a soddisfare "il vizietto" de noantri (meglio se con carne dell'est).

Per sfruttamento della prostituzione vengono arrestati il 25 maggio ad Apricena 6 persone.

Leggete l'articolo sullo Stato Quotidiano.

PS: e guardate il video che trovate in fondo alla pagina sulla condizione di giovani uomini e donne africani che lavorano nelle campagne di Rignano Garganico.